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Tuesday 10 January 2012

I soliti luoghi (poco) comuni del nostro mercato del lavoro

di Stefano Caria

In questi giorni infervora il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro italiano. Nonostante i toni, i veti e gli scontri, crescita ed equità sono metriche ampiamente condivise in questa discussione. Dato il sostanziale accordo sugli obbiettivi, un’analisi chiara dei problemi e un confronto con la ricerca empirica in questo campo ci possono quindi portare a un sostanziale accordo che riguardi anche gli strumenti politici.

Alla Fonderia abbiamo parlato di riforma del mercato del lavoro nell’incontro del 16 Ottobre. I punti principali da tenere a mente nel dibattito di questi giorni sono proprio quelli cardine della nostra discussione di allora. Innanzitutto il problema della protezione del lavoro a due corsie, e l’idea che per superare questo dualismo tra la flessibilità degli outsider e la protezione degli insider bisogna equiparare sia i costi che le regole di licenziamento delle varie forme di lavoro.

In secondo luogo, il problema di quanta protezione dare nel nuovo ordinamento unificato. Qui è importante sottolineare il tradeoff tra la protezione di chi ha lavoro e le opportunità delle categorie più escluse: giovani, donne e disoccupati di lungo periodo. Un regime troppo protetto inibisce sia i licenziamenti che le assunzioni e rende più difficile la ricerca di un impiego per chi il lavoro non lo ha. Infine il problema della crescita: troppa flessibilità scoraggia gli investimenti nella formazione del personale, mentre troppa protezione impedisce quegli aggiustamenti organizzativi necessari per le innovazioni radicali di processo e prodotto di cui l’economia Italia ha molto bisogno.

Il contratto unico per il lavoro dipendente, con un livello di protezione bilanciato e in linea con la media OCSE, è una possibile soluzione sia ai problemi di equità che a quelli di crescita.

Non tutti sembrano però pensarla così. La CGIL per esempio ha sollevato varie obiezioni, molte delle quali si trovano anche nel documento di discussione alla mia presentazione preparato da Francesco Sinopoli. Per approfondire il dibattito, ho quindi scritto un commento esteso ai punti sollevati in quel contributo, che potete trovare qui.

5 comments:

  1. Grande Stefano. Sono in accordo come ben sai su tutta la linea.

    Finche non ci metteremo sulla strada tracciata da Danimarca e Paesi Bassi...vedremo i nostri giovani continuare a partire per cercare spazio altrove.

    Molto bello il passaggio da 'economista' sulle metriche condivise...sono sicuro che Martina apprezzera'.

    Grazie per questo bel post che ci riporta ad una discussione fondamentale,
    Emanuele

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  2. Ma se lo sanno tutti che il modello Danese non e' applicabile in Italia! Lo ha scritto anche Cesare Damiano sul Corriere della Sera: la Danimarca e' un Paese minuscolo, con 6 milioni di abitanti in tutto, e livelli molto alti di coesione sociale e senso Civico.

    Ve lo immaginate un sussidio di disoccupazione al Sud Italia? Una follia assistenzialista bella e buona!

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  3. Certo se lo dice Cesare Damiano che e' inapplicabile vuol dire che e' una verita' indiscutibile.

    Caro anonimo mi spieghi sulla base si cosa non si puo' applicare un sussidio di disoccupazione universale? Proprio al sud aiuterebbe molti ad emergere dal nero...

    ogni tanto sarebbe il caso di studiare prima di dire cose generiche che non sono suffragate da alcuna evidenza empirica.

    Pierpaolo da Leeds

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  4. Caro Pierpaolo,

    non so bene su che tipo di ricerca empirica o teorica ti stai basando (e sarebbe doveroso da parte tua citare le fonti), per essere cosi' sicuro che il sussidio di disoccupazione al Sud non finisse per sussidiare proprio quei lavoratori che in realta' hanno gia' un lavoro (al nero), o che non hanno alcuna intenzione di trovarsi un lavoro perche' scoraggiati o comodamente adagiati sulle spalle dei propri genitori. Non dimenticare che qualsiasi modello 'teorico' dovrebbe fare i conti con istituzioni corrotte, e difficolta' nell'accertamento dell'effettivo bisogno.

    E puoi anche smetterla di chiamarmi Anonimo. Mi chiamo Ignazio.

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  5. Caro Ignazio, ora posso smetterla di chiamarti anonimo perche' ha scritto il tuo (prima era abbastanza difficile). Il sussidio universale di disoccupazione esiste in paesi con taglia simile all'Italia, i.e. Germania e Francia.

    E' inutile che listo 300 referenze accademiche. Il punto chiave qui e' che non bisogna bollare idee alternative alla propria come irrealizzabili quando ci sono tanti paesi che lo applicano. Cerchiamo di discutere nel merito delle questioni.

    Pierpaolo da Leeds

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