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Thursday 20 September 2012

Fiscal compact e low-carbon economy

di Stefano F. Verde

In risposta alla crisi dei debiti sovrani, i governi UE, con le eccezioni di Regno Unito e Repubblica Ceca, hanno concordato il Fiscal Compact. Il Trattato dispone l’adozione, preferibilmente nei testi costituzionali, del vincolo del pareggio di bilancio. Tecnicamente, quest’ultimo è da ritenersi rispettato se il deficit strutturale (ovvero al netto degli effetti della congiuntura economica) non supera lo 0,5% del PIL (1% per i Paesi con debito inferiore al 60% del PIL).

La prescrizione di una così ferrea disciplina di bilancio ha suscitato numerose critiche e sempre più spesso, nel dibattito pubblico, viene rimarcata la necessità di conciliare rigore dei conti e stimolo della crescita. In questo contesto, Mario Monti e Mario Draghi, rispettivamente Presidenti del Consiglio e della BCE, recentemente si sono espressi a favore di un rilancio degli investimenti pubblici. Lo scorso 9 maggio, Monti ha proposto di non considerare la spesa in investimenti ai fini del suddetto pareggio di bilancio. In altre parole, di permettere che lo Stato si indebiti per finanziare la spesa in investimenti. Il 24 maggio, Draghi ha suggerito di accompagnare il Fiscal Compact con un “Growth Compact”. Questo poggerebbe su tre pilastri, uno dei quali sarebbe appunto il rilancio degli investimenti pubblici in infrastrutture, capitale umano e ricerca e innovazione. “Vanno in questo senso le proposte di rafforzamento della Banca Europea per gli Investimenti e di riprogrammazione dei Fondi strutturali dell’Unione”, ha aggiunto Draghi.

Gli investimenti, pubblici o privati, sono una precondizione dello sviluppo economico. Il Fiscal Compact, così com’è, concede poco spazio ai primi e ‘’confida’’ molto nei secondi. La questione che pongo è la seguente: può un tale approccio alla politica fiscale ostacolare il raggiungimento di imprescindibili obiettivi di lungo periodo della politica climatica? Ridurre le emissioni di gas serra dell’80-95% entro il 2050, come l’UE si propone di fare, implica un radicale cambiamento del sistema produttivo. E’ pensabile che questo si possa realizzare senza un contributo sostanziale di investimenti pubblici?

Nella Comunicazione della Commisione Europea “Una tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050”, si legge che saranno necessari investimenti “cospicui e sul lungo periodo” e che tale sforzo “corrisponde a un investimento annuo supplementare pari all’1.5% del PIL dell’UE. [...] Si tratterebbe quindi di tornare ai livelli di investimento precedenti la crisi economica.” Purtroppo non ci è dato di sapere come queste cifre sono state ottenute. In merito al finanziamento degli investimenti, poi, si legge:

Mobilitare il potenziale di investimento del settore privato e dei consumatori rappresenta una sfida importante. [...] Rimane quindi la questione cruciale di capire come la politica possa creare un contesto propizio a questo tipo di investimenti, in particolare mediante nuovi modelli di finanziamento. [...] Per ovviare ai rischi finanziari e ai problemi di liquidità iniziali è essenziale disporre di ulteriori meccanismi di finanziamento pubblico/privato. Grazie a strumenti innovativi quali fondi di rotazione, tassi di interesse preferenziali, regimi di garanzia, meccanismi di ripartizione del rischio e meccanismi misti, il finanziamento pubblico può mobilitare e orientare il finanziamento privato necessario, anche a livello delle PMI e dei consumatori, stimolando così, con risorse limitate, una moltitudine di finanziamenti del settore privato. La Banca Europea per gli Investimenti, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e i fondi ad hoc previsti dal prossimo quadro finanziario pluriennale dovrebbero dare un ulteriore contributo al finanziamento di tecnologie ad elevata efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio.

La Commissione, dunque, riconosce un ruolo importante ai finanziamenti pubblici, ma non fornisce stime della loro entità [1]. Nella Comunicazione “Tabella di marcia per l’energia 2050”, sempre della Commissione, si legge altresì:

I rischi degli investimenti devono essere sostenuti dagli investitori privati, tranne quando esistano chiari motivi per giustificare il contrario. Alcuni investimenti nel sistema energetico hanno tuttavia natura di bene pubblico. Per questo, potrebbe essere garantito un certo sostegno a interventi innovativi (ad esempio, veicoli elettrici, tecnologie pulite). Un aumento e un affinamento dei finanziamenti erogati da istituti finanziari pubblici, quali la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) o la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) e il coinvolgimento del settore bancario commerciale negli Stati Membri potrebbero facilitare la transizione.

Gli investitori privati continueranno a occupare una posizione preponderante in un approccio alla politica energetica basato sul mercato. In futuro il ruolo delle imprese di pubblica utilità potrebbe cambiare in modo sostanziale, soprattutto per quanto concerne gli investimenti. Mentre in passato, le imprese di utilità pubblica erano in grado di realizzare da sole numerosi investimenti nella produzione di energia, questo sarà probabilmente più difficile in futura vista la portata delle esigenze in materia di investimenti e innovazione. È necessario coinvolgere nuovi investitori capaci di impegnarsi nel lungo termine. Gli investitori istituzionali potrebbero diventare gli attori principali nel finanziamento degli investimenti in campo energetico. Anche i consumatori avranno un ruolo più rilevante a condizione che abbiano accesso ai capitali a costi ragionevoli.

Finora in Europa i costi di mitigazione, cioè di riduzione delle emissioni, direttamente o indirettamente sono stati sostenuti in larghissima parte da famiglie e imprese, attraverso il mercato europeo dei diritti di emissione (EU Emission Trading Scheme), i sussidi alle rinnovabili e la tassazione dei beni energetici. Ancorchè sia necessario e giusto pagare di più l’energia, il cui prezzo dovrebbe riflettere anche le esternalità di produzione e consumo associate, fino a che punto si potrà continuare a scaricare i costi della transizione tecnologica direttamente sui bilanci di famiglie e imprese? La Commissione, come visto sopra, sostiene che opportune riforme normative e limitati finanziamenti pubblici possano mobilitare ingentissimi e sufficienti investimenti privati. E’ giustificato questo ottimismo? Difficile rispondere, ma credo sia lecito dubitarne. Di certo, poichè le future generazioni godono dei benefici (sotto forma di minori costi) degli investimenti fatti oggi per ridurre le emissioni, è giusto che anche quelle partecipino ai costi. La politica del clima non può che avere un approccio multigenerazionale. Anche in quest’ottica, pertanto, la proposta di Monti – sottrarre gli investimenti al vincolo del pareggio di bilancio – è tutta da appoggiare, come pure naturalmente quella di potenziare BEI e Fondi strutturali [2].


[1] La stessa cosa vale per un recente intervento di Nicholas Stern riportato sul blog della London School of Economics, il 28 maggio scorso (“By unleashing the low-carbon economy we can create jobs and reduce deficits and debts“).
[2] Sul blog di Nouriel Roubini, il 12 marzo scorso, Sergio Rossi e Harald Sander propongono il finanziamento di investimenti verdi in progetti europei, tipicamente infrastrutturali e di ricerca e sviluppo, attraverso l’emissione di Eurobonds (“Green growth after debt? Euroland needs a different golden rule”).

7 comments:

  1. Interessante l'articolo!
    A questo proposito volevo segnalare una cosa che, se va in porto, segnerebbe veramente la svolta mondiale al problema energetico...
    Conoscete la vicenda dell'Alcoa in Sardegna? E' una fabbrica di alluminio che è considerata la più energivora in Italia. Ora è in vendita ed è stata avanzata un proposta dalla società Kite-Gen (tra l'altro tutta italiana) che intenderebbe installare sopra la fabbrica una serie di generatori eolici di alta quota (un loro brevetto) che, a loro avviso, sarebbero addirittura in grado di produrre tutto il fabbisogno energetico della fabbrica. http://kitegen.com/
    Credo sia una cosa serie perché si tratta di un'offerta pubblica di acquisto.
    Se è vero i problemi energetici sono ricordi del passato!
    Un saluto
    Marco

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    1. Ma quanto si sa sulla tecnologia dell'eolico d'alta quota?

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  2. Interessante. Sarebbe utile pero' avere una valutazione su quali siano i players privati in grado di smuovere investimenti di grande portata. Se emergesse che a livello europeo le compagnie in grado di incaricarsi di investimenti cosi massicci sono ben poche si porrebbero questioni regolatorie abbastanza rilevanti.
    Inoltre ho il sospetto che la situazione publico/privato vari abbastanza da paese in paese....c'è qualche evidenza a riguardo?
    Sull'intervento di Marco sopra, ma anche in generale: si sa se è fattibile condizionare il ciclo produttivo di una fabbrica ad una fonte di energia intermittente come il vento? Perchè credo che anche nella produzione di alluminio ci sia da tenere in conto la security of supply....oppure interruzioni improvvise di energia potrebbero essere risolte da altri generatori di emergenza? Valeria

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  3. Quali sono i player privati? La Commissione cita gli investitori istituzionali (ad esempio i fondi pensione): hanno disponibilità di risorse finanziarie e orizzonti temporali compatibili con quelli di un investimento in energie rinnovabili (25 anni circa). Ma resta il problema dei rischi, ai quali sono fortemente avversi.

    Credo che un’allocazione ottimale delle risorse pubbliche debba partire dalla mitigazione dei rischi che più preoccupano gli investitori, e dalla loro ripartizione tra attori pubblici e privati. Climate Policy Initiative ha recentemente realizzato alcuni casi studio su questo aspetto chiave. Buone pratiche in grado di far leva sul privato esistono, ed è necessario vedere se e come possono essere replicate e adattate a contesti che variano molto da paese a paese.
    http://climatepolicyinitiative.org/publication/san-giorgio-group-case-studies/

    Valerio

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  4. Grazie Marco, Valeria e Valerio per i commenti.

    Riguardo il progetto menzionato da Marco, in questa intervista si trovano informazioni ulteriori http://www.canaleenergia.com/kitegen-leolico-dalta-quota-salvare-alcoa

    A Valeria ha già risposto Valerio. Sostanzialmente, l'idea sarebbe che il Pubblico agisca principalmente per ridurre il grado di rischio degli investimenti per abbattere le emissioni di gas serra e, così, attirare ingenti finanziamenti privati, per esempio dei fondi pensione. Siamo però sicuri che non servano anche cospicui finanziamenti pubblici, più di quelli che il rigore del Fiscal Compact permette? Questa è la questione che pongo.

    Non è facile rispondere perche' ciò presuppone una visione del futuro supportata da ampie e solide competenze ingegneristiche ed economiche (almeno). Io e Valerio, con il quale sono entrato in contatto, abbiamo cominciato a collaborare su questo tema. Se faremo progressi, sarò lieto di condividerli con la Fonderia.

    Ciao
    Stefano Verde

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  5. Una conferma della valìdità del problema che pongo nel post.

    http://www.corriere.it/politica/12_novembre_03/cambiamenti-climatici-italia-usa-ministro-clini_88d2bce4-2590-11e2-a01c-141eb51207fd.shtml

    Ciao
    Stefano Verde

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  6. Scopro ora che Mariana Mazzucato (Sussex University) aveva scritto quasi sullo stesso tema

    http://www.demos.co.uk/projects/entrepreneurialstate

    Ciao
    Stefano Verde

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