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Sunday 30 September 2012

Le 10 proposte di Fermare il declino

di Tommaso Oliviero.

In un clima politico ed economico quanto mai incerto, il gruppo di professori che curavano il blog “noisefromamerika” ha deciso di varcare il Rubicone e di lanciarsi in un progetto politico nuovo. Lo ha fatto lanciando una iniziativa in rete insieme ad un gruppo di nuovi associati (e/o aderenti), tra cui spicca il giornalista Oscar Giannino. Nome dell’iniziativa: Fermare il declino.

Noise-from-amerika è un blog creato da economisti che lavorano in U.S.; negli ultimi anni hanno ottenuto un crescente successo grazie ad una serie di articoli precisi e pungenti, oltre che un libro-critica sulla politica economica di Tremonti. Siamo convinti che trovare una definizione di economista è difficile persino all’interno di un dipartimento di economia. Cerchiamo di definire il tipo: hanno seriamente studiato, fanno ricerca in maniera rigorosa, e pubblicano su riviste scientifiche di massimo livello. Non Tremonti e Brunetta, ecco.
Oscar Giannino è un noto ed eccentrico giornalista economico. Ha una laurea in legge, fa giornalismo da sempre, ogni mattina sbandiera ai quattro venti il suo motto: “Stato ladro”. Si può definire un serio giornalista economico, più difficilmente un’economista nell’accezione che abbiamo utilizzato prima.

Passare da un blog ad un partito politico è un’esperienza già vista (leggi M5S). Amano definirsi una nuova forza politica, quindi né un partito ma nemmeno un movimento. È chiaro ed esplicito l’intento di prendere le distanze dai vecchi partiti e da Beppe Grillo.
L’aspetto più innovativo è rappresentato dal fatto che Fermare il declino cerca adesioni nel pubblico della rete partendo da 10 proposte per il rilancio dell’economia Italiana. Sono delle proposte che mirano a ridurre il debito pubblico, la pressione fiscale e a risolvere i problemi istituzionali del paese soprattutto nell’ambito della politica economica. Le 10 proposte sono sinceramente tutte molto condivisibili. Sono un insieme di applicazione di noti principi economici uniti ad un’abile semplificazione logica e verbale utile alla divulgazione ”popolare”.

Non ci soffermiamo sulle possibili strategie elettorali che questo gruppo potrebbe prendere, ma vorremmo invece entrare nel merito degli obiettivi di questa forza politica.

Le 10 proposte seppur condivisibili, sono talvolta vaghe. Dietro ogni punto ci sono un mare di punti da chiarire. I leader del movimento lo sanno e probabilmente lavorano nel retroscena per affinare i concetti e gli spunti. Ma soprattutto, i lettori e gli aderenti lo sanno. Ed allora? Perché non essere da subito più precisi? Il motivo potrebbe essere che il lancio di un nuovo soggetto politico rappresenti solo un modo per stimolare la discussione politica in vista delle nuove elezioni. Questo però è lontano dall’obiettivo dichiarato di creare una nuova forza politica. Se si vuole realmente competere sul piano della qualità delle proposte, perché non spiegare meglio l’attuabilità delle proposte? Alcuni esempi. Il tema della lotta all’evasione fiscale. Perché non chiarire con quali strumenti verrà di fatto combattuta l’evasione? Quale tipo di innovazione si propone? Stessa considerazione quando si parla della soluzione dei problemi del mercato del lavoro e dell’istruzione.

La vera forza innovativa di soggetto Fermare il declino potrebbe essere la capacita’ di spiegare in maniera chiara e semplice i meccanismi attraverso i quali si vogliono raggiungere taluni obiettivi, partendo da un dibattito interno per poi divulgarlo. Andare oltre i proclami, spiegare agli elettori quali strumenti si intende utilizzare e quali saranno le ripercussioni sull’economia e la società italiana darebbe un segnale serio e incontrovertibile di una politica nuova.

Il rischio è che le 10 proposte rimangano imitabili proclami elettorali.

14 comments:

  1. Mi potresti dire per cortesia quali sono i ''noti principi economici''?
    A forza di sentire parlare economisti che sanno come aggiustare la societa', mi viene in mente un detto spagnolo: cuando solo tienes un martillo todo es un clavo.
    Onestamente, l'idea che criteri economici (scelti chissa' come) siano l'unico mezzo per discernere cosa sia giusto o meno implementare in una societa' mi sembra troppo semplicistica.
    E dannosa. E ideologicamente disonesta, perche' a tutti gli effetti camuffata dall'autorita' pretesa in quanto tecnici. E non si sa bene in cosa.
    Uno scienziato misura il momento angolare di un elettrone in un campo magnetico e ottiene un numero che sa come interpretare in un quadro di riferimento teorico che e' accettato dalla comunita'.
    Quando fa la misura, non deve, per esempio, salvaguardare i diritti dell'elettrone contro gli abusi sperimentali, o rispettare il minimo sindacale di ore di attivita' del campo magnetico, non si vede costretto ad usare una bilancia, spinto dalla lobby dei meccanici Hamiltoniani! Pensa che incubo!
    Quando si parla di politiche del lavoro, politiche industriali, ambiente, sanita', educazione, non si puo' fare appello soltanto alla ''variabile economica''. Mi sembra un'ingenuita' (e lo dico in buona fede)

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  2. Concordo, finalmente (ovviamente con il commento, non con il post).
    Non se ne può più di Bentham, utilitarismo, efficienza!
    Non se ne può più del centimetro del sarto, vale per lo spogliatoio di una squadra di calcio, non per il prato verde – e spiace che il calcio sia metafora oramai svuotata –.L'economia come il centimetro, senza idee né talento rimangono solo misure.

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  4. @alezocco
    forse la parola principio non è la più felice in tale contesto. per principio non intendo una serie di postulati. intendo invece una serie di risultati, empirici e teorici, che sono riconosciuti dalla comunità scientifica. e sono validi fino a prova contraria! se uno non si fida a priori di quello che dicono gli studiosi dell'economia allora non c'è dialogo. ripeto, per principi non intendo una ipotesi da cui deriva il modello, ma una serie di concetti, meccanismi che sono dimostrati e riconosciuti.
    ciò non vuol dire che la scienza non vada avanti.
    in ogni caso, se incontri una persona che ti dice: "questa è la ricetta", e tale ricetta è invariante nel tempo e nello spazio, stai sicuro che non hai incontrato un'economista.
    @anonymous
    fa strano rispondere ad un anonimo amante del calcio. ma va bene lo stesso. innanzitutto con il post non c'era niente da concordare. lo scopo dell'articolo era divulgativo. del tipo: "ragazzi c'è questa nuova iniziativa politica. secondo me potrebbe funzionare per queste ragioni e non potrebbe funzionare per queste altre". è vero che studio economia, ma non per questo la confondo con la politica. secondo punto, non capisco cosa intendi basta con l'efficienza. uno dei maggiori problemi in Italia è l'efficienza: spesa pubblica, allocazione delle risorse, lavoro, classe politica. e tu che mi dici? basta con l'efficienza! su quale base dici che l'economia è senza talento?? va bene l'anonimato, ma almeno scrivi dei post decenti!

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  5. G.le dott. Oliviero,

    mi scuso, se l'ho offesa, non era mia intenzione.

    Probabilmente, la pubblicazione di un post, di un articolo, di uno scritto automaticamente fa decadere dalle intenzioni dell'estensore precedenti alla pubblicazione medesima il significato degli stessi e sottopone anche solo le notizie in essi contenute al vaglio del lettore e alla possibilità che il medesimo si formi delle opinioni.
    Nello specifico – vi è forse una contraddizione che sfugge – oltre la notizia, Lei pubblica opinioni (lo ammette implicitamente in vari passaggi del post e quando scrive « secondo me potrebbe funzionare per queste ragioni e non potrebbe funzionare per queste altre" »). Generalmente, alle opinioni è lecito aderire – concordare – , aderire in parte, ovvero non aderire. Qualcuno diceva che è la democrazia.
    La mera divulgazione – ammesso che esista – forse si sarebbe dovuta limitare a dare la notizia o, al più, a riportare – cercando di non troppo farsi influenzare dalla propria di opinione – l'opinione di altri. Ma questa è teoria del giornalismo, Lei studia economia e io sono un amante del calcio. Anche se la mia palese ignoranza include, oltre che l'economia, il calcio: ho avuto per caso la sola possibilità di leggere qualche dimenticata raccolta di vecchi articoli di Gianni Brera e qualche racconto di Osvaldo Soriano – che forse poco spiegano di calcio e di vita, sicuramente nulla di economia.
    Guardo la coda di noti titani del pensiero e noto che l'economia è politica: per genesi storica della disciplina e per attuale quotidiana evidente necessità. La micro-economia potrebbe essere politica, si potrebbe acconsentire a considerare anche la macro-economia come politica.
    E l'interpretazione (dell'economia), come connotato e strumento culturale, a cui il commento del dott. Zocco faceva felice riferimento, è uno strumento anche politico. Del resto, se il commento del dott. Zocco ci ricorda che anche nelle scienze i dati non sono solo dati, ma sono relativi e sono interpretati, appare forse un azzardo pensare che l'economia, il diritto, la sociologia, la politica, siano solo economia, diritto, sociologia, politica – cioè si presentino nella loro pura evidenza di dato. Forse credere in un'assoluta – e probabilmente falsa – idea di scientificità (misurabilità) di queste materie è il residuo culturale che viene dalla sconfitta del povero Schumpeter. Ma qui il discorso si fa complicato ed esula dalle mie forze. Se non sbaglio l'econometria alla fine è un linguaggio – che per natura consente l'espressione del pensiero, si interpreta, si traduce, si sostituisce con un altro linguaggio.
    Quanto all'efficienza: ovviamente evocando sistemi filosofici (Bentham e utilitarismo facendo parte generalmente nel bagaglio culturale degli economisti), il richiamo era solo da ricondurre entro quelli. E' di tutta evidenza che l'Italia è la terra dello spreco: spreco diffuso, antropologico, economico, culturale, umano. L'Italia è la terra dell'inefficienza. I piani sono molteplici, mi fermo qui, finirei solo per ulteriormente annoiarLa.
    Mi scuso inoltre per l'anonimato, che non era nelle mie intenzioni e nel mio originario commento che, poco più articolato, conteneva l'indicazione del mio nome e del mio cognome. Ma per mia ignoranza informatica, o per mal funzionamento del blog, non è stato immediatamente pubblicato e avendolo più volte riscritto com mia personale inconsueta pervicacia ho poi dimenticato di firmarmi.
    A questo punto credo sia stato meglio così, e all'anonimato continuo – solo qui, non certo in futuro – a far ricorso: la divulgazione si rivolge al lettore anonimo in fin dei conti.
    Spero di aver raggiunto i limiti della decenza espositiva.

    Anonimo Riluttante

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  6. lascia stare il dott., anche perché non lo sono. almeno non lo sono per il mondo intero con l'eccezione dell'Italia. ma questo è un altro punto.

    quello che solitamente non va nel dibattito giornalistico (ed è la piega che ahimè ha anche preso il nostro dibattito) è il fatto che se si parla di economia, le critiche a priori sono generalmente di due tipi:
    a) IL RILUTTANTE: gli economisti non hanno previsto la crisi (come se tutti gli economisti siano dei meteorologi...) e non ci hanno capito un cazzo!! tutto sbagliato e ti spiego brevemente perché. Anche se fossero tutti dei forecaters, gli studi sulla crisi sono difficili perché, a differenza degli uragani, le crisi si verificano raramente (potrei a questo punto dire che è un merito degli economisti?) e sono difficilmente osservabili;

    b) LO SCETTICO: gli economisti corrono dietro a dei modelli che sono complessi ma fanno assunzioni sbagliate (il tipo di commento che facevate voi); anche questo secondo me un argomento improprio. questo tipo di argomento potrebbe infatti avere la sua validità se si entrasse nel merito della questione. e questo non lo si fa mai. dire che l'utilitarismo è sbagliato senza avere digerito bene la cosa è troppo superficiale.

    sulla questione della misurabilità mi trovi molto contrario e contrariato. chi fa economia sa che uno dei grandi problemi è la mancanza di osservazioni. se mancano i dati ovviamente la capacità della misurabilità è ridotta. a questo problema si può rispondere in due modi: a) abbandoniamo i numeri e cominciamo a fare economia a chiacchiere; b) cerchiamo di migliorare sia gli strumenti di misura (l'econometria ad esempio, ma non solo....) sia la qualità delle osservazioni da analizzare (i dati, appunto).

    Tornando a monte della questione,
    avrei voluto creare un dibattito diverso. un dibattito POLITICO sulla eventualità che degli economisti si cimentino nella politica. non come tecnici alla Monti, ma come politici che vanno alle elezioni.

    purtroppo non ci sono riuscito. a questo punto anche demerito mio, non certo di voi lettori. mi sembra chiaro che, parlare credibilmente di economia, da economista è difficile.

    per quanto riguarda l'anonimo, credo che questo sia attualmente un blog di nicchia, e sarebbe carino avere i nomi così per conoscerci meglio. se si legge e si commenta qui è solo per pura voglia di comunicare.

    lascia stare le riluttanze.
    con affetto
    Tommaso

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  7. Gentile Tommaso,

    purtroppo non posso uscire con una frase tipo: sono e mi chiamo Barack Obama e mi candido alle elezioni presidenziali!

    Quindi, per evitare pernacchioni – perché l'ho tirata troppo in là – proverei più in là a trovare un modo per contattarLa e presentarmi.

    Non mi pare che il dibattito si sia sviluppato male. Anzi, sarebbe opportuno che coinvolgesse altri «tecnici» delle scienze sociali che animano il blog. Accennando ai problemi di relazione tra le scienze sociali, di metodo e ai riferimenti culturali, implicitamente si sviluppa il tema da Lei evidenziato – che peraltro ha una chiusa letterariamente efficace ("Il rischio è che le 10 proposte rimangano imitabili proclami elettorali").

    Partendo dal merito della proposta si è risaliti progressivamente verso problemi di metodo e di relazioni tra le scienze sociali e il valore politico e i presupposti culturali della partecipazione alla politica degli economisti. Tutti contenuti solo evocati, ma nel poco spazio concesso non si può fare di più.

    Più in alto, nel dibattibile, rimane qualche argomento di natura teologica – o poco più.

    Concorderei anche con lei sui suoi punti a) e b), salvo segnalare una pregressa necessità di discussione sulla esigenza di presupposti culturali ad attendere (nel senso di servizio e presenza, non di attesa) all'analisi e alla proposta economica – scegliere che tutto è economia è una scelta politica, o filosofica (non per fare il vetero-marxista) e implica scivolare sull'assoluto tecnico (Heidegger, nelle sue passeggiate nel bosco, lo anticipava riprendendo uno spunto di Nietzsche – mi scuso per le citazioni, non ho letto nulla di quello di cui parlo, tempo fa ho dato solo una rapida scorsa a Wikipedia).

    Quale pensiero guida nelle scelte? (Mi rendo conto che il discorso diventa pericoloso, ma non invoco neo-ideologie, o ideologie, religioni e settarismi: pongo un quesito pratico).

    Esemplifico quel che vorrei dire:

    se il figlio del mio vicino di casa – che è un mago della finanza ed è molto ricco – conosce l'esistenza e si può permettere Harvard, e il figlio dell'altro mio vicino – che è un ciabattino, con la quinta elementare e firma a stento e non è certamente ricco – non ne conosce l'esistenza, né il padre gliela può rivelare, ma il ragazzo è sveglio, più del figlio del finanziere, che però non è un fesso, che faccio? Gli dico che esiste Harvard? O glielo faccio dire dalla scuola, da un'altra vicina? Gli dico che pago io la retta? Gliela pago io, Lei, i miei amici del Pub sotto casa? Lo Stato? Invento un'altra Harvard gratis?

    oppure:

    ho 100 € e ho due scuole, una pubblica e una privata. I cento a chi li dò? Funzionano bene entrambe! ma una è gratis e non ha fondi, l'altra ha fondi privati.

    Non mi opponga che finanzierebbe quella scuola che nel medio periodo è meno dispendiosa o produce maggiori efficienze in termini di cervelli prodotti o finanziamenti e rette e richieste di ammissione ottenute.

    Grazie per gli spunti e le concordanze.

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  8. PS, "dò", con l'accento, non è enfatico, è un errore. Mi scuso

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  9. perché la scuola pubblica è gratis? quella si paga con le tasse (anche quelle del ciabattino!!).

    Dato il tuo problema, potrei farti un semplice esempio numerico che ti mostrerebbe come, in un mondo utilitarista ed efficiente e dove tutti gli agenti sono razionali etc., è il figlio del ciabattino ad andare ad Harvard (che potrebbe essere indifferentemente un bene pubblico o privato). e questo con buona pace del figlio del trader.

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  10. Il ciabattino è incapiente (nella generalità dei casi) e non paga tasse, le tasse vengono dal resto della comunità e la scuola non è gratis, certo: mi riferivo alla percezione dello studente universitario (e della sua famiglia) che si iscrive all'università e a cui non viene richiesto il pagamento di (ulteriori) tasse universitarie.

    Quindi: scuola pubblica= tasse; scuola privata= tasse + retta universitaria privata + finanziamenti privati (sponsor).

    Il problema è appunto, nei termini in cui tu lo poni (al di là dei miei casi): considerato che non viviamo in un mondo utilitarista ed efficiente e gli agenti non sono proprio tutti razionali, informati, etc., il figlio del ciabattino andrà ad Harvard?

    Come trasformiamo il mondo in un mondo utilitarista ed efficiente e come facciamo diventare gli agenti efficienti?

    E quali parametri utilizziamo per decidere se veramente – ammesso che viviamo in un mondo utilitarista ed efficiente – il figlio del ciabattino è il migliore? Magari il figlio del trader ha modalità di apprendimento inconsce - per cui all'inizio appare più fesso e sul medio periodo è più sveglio. O magari il contrario, se è il figlio del ciabattino ad apprendere inconsciamente e non si può permettere il lusso di attendere il medio periodo?

    Comprendo che sono solo variabili nei modelli matematici, ma non lo sono nella vita del ciabattino.

    In generale, comprendo bene quello che scrivi, mi domando se è sufficiente questa impostazione – che non è certo la tua esclusivamente, andiamo al di là di questo dibattito – a comprendere la complessità del mondo.

    Forse la mia è solo una posizione di retroguardia dettata anche da poca dimestichezza con i modelli matematici.

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  11. Harvard non credo si regga sulle tasse pubbliche.

    Tornando al discorso iniziale, io argomento, invece, che magari il ciabattino agisce razionalmente; e soprattutto, inconsapevolmente risolve un problema che puoi formalizzare matematicamente. Il magari si riferisce alla assunzione che, normalmente, va convalidata. Poi, Il fatto che gli agenti non abbiano una informazione perfetta viene studiato da 30 anni dagli economisti dell'informazione.

    Ti faccio un esempio (che non è mio) per farti capire cosa intendo quando dico che il comportamento può essere formalizzato.
    Il campione di biliardo risolve ad ogni tiro di stecca un sistema di equazioni differenziali. Lui non lo sa. Eppure puoi matematicamente formalizzare la sua azione. e con successo.

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    1. Scusa, Tommaso,
      ho trascurato questo posto di discussione troppo a lungo, ma ho visto che vi siete dati da fare! :)
      Su questo punto voglio fare il pedante.
      Tu non formalizzi il comportamento delle persone, e non possiamo confondere azione e comportamento.
      Una cosa e' risolvere l'equazione del moto della pallina lanciata dal giocatore di stecca.
      Un'altra cosa e' capire chi, in una popolazione data, si comporta da giocatore di stecca.
      Una maniera sarebbe, per esempio, raccogliere delle statistiche. Questo e' quello che si fa spesso in economia, e puo' essere molto utile.
      Nel caso dei giocatori di stecca, prendo un campione a caso, gli do' sta cavolo di stecca, e chiedo a tutti di fare lo stesso tiro. Definisco un parametro che quantifica il successo del tiro (la deviazione dalla posizione finale della pallina calcolata matematicamente), definisco una soglia di successo, e costruisco una immagine statistica della popolazione.
      Perfetto.
      Tutto questo e' possibile perche' il problema studiato (il moto della pallina in un biliardo) e' gia' stato risolto, ed e' quantificabile, e i gradi di liberta' del sistema sono conosciuti.
      Io capisco l'eccitamento degli economisti quando scoprono le statistiche, perche' sintetizzano in maniera potente quadri molto complessi.
      Quello che non accetto e' l'uso strumentale di statistiche per appoggiare una piuttosto che un'altra politica, quando sappiamo TUTTI il grado di confidenza da attribuire a certi dati e soprattutto, quando sappiamo tutti che una statistica e' una ''foto probabilistica'' con potere preditivo NULLO se le circostanze in cui e' stata determinata non sono riproducibili.
      Quindi quando sento gente che mi dice cosa devo fare ''perche' la statistica dimostra che'' io mi incazzo come un animale!
      La statistica dimostra che, in quelle circostanze, in quel punto dello spazio-tempo, se tutto e' andato bene nell'analisi, E' SUCCESSO QUALCOSA. Period.
      Ora, se quelli di noiseofamerica sanno fare un test del chi-quadro, va bene, se vogliono vendere le loro posizioni in un dibattito politico come preferibili perche' sanno fare un test del chi-quadro, sono meno d'accordo.

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  12. Tommaso, sta diventando uno stillicidio.

    Harvard non è Harvard, è un simbolo.

    Non faccio fatica a immaginare che si possano formalizzare le azioni (a dire il vero lo so anche), risolvere i problemi di perfezione delle informazioni, che gli agenti siano razionali e siano in grado di acquisire, selezionare e comprendere le informazioni ovvero risolvere inconsapevolmente i problemi. Ma quanto è lunga la catena? e quante maglie deboli ha? E non sarà, magari solo un problema di linguaggi?

    Grazie, davvero, anche per la disponibilità.

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  13. la catena è molto lunga, ma non per questo va spezzata. le maglie deboli sono tante. ma si studiano e si rinforzano. a quanto vedo è questo quello che fanno gli economisti (e credo più in generale tutti gli studiosi di una materia). l'economia deve migliorare la sua comunicazione? probabilmente si. è questo uno dei punti di possibile debolezza che si può ravvedere in una iniziativa come quella di fermare il declino.

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